martedì 29 novembre 2011

Si riparte

Fine della sosta.
Tra qualche minuto zaino e stazione.
Direzione: New Orleans.
Traiettoria prevista: non del tutto lineare.
Tempo stimato: per niente.

giovedì 24 novembre 2011

Immagini da Naperville


Millennium Carillon



Quartiere residenziale Brookdale Lakes






Ogni tanto, se Dio vuole, si incontra qualcuno

Pupazzo di nome Sempronia

La casa di fronte alla nostra (uguale alla nostra)

giovedì 17 novembre 2011

Immagini da Chicago







Vista dalla Hancock Tower
Vista dalla Hancock Tower
Skyline
Sul lago Michigan

giovedì 10 novembre 2011

Naperville

Foto di Laura Pelliciari

Ce ne stiamo qui, a Naperville. In questa casa americana dalle grandi finestre.
Mi metto al tavolo a scrivere qualcosa; inizio ad esplorare la musica nuova che ho portato con me da Boston. Jazz e rock: queste sono solo due delle piacevoli conseguenze dell'aver conosciuto Michael.

Per arrivare qui abbiamo viaggiato due giorni, aspettato coincidenze, dormito sui sedili di un treno lento. Alla South Station di Boston avremmo dovuto prendere il treno, uno solo. Quel treno avrebbe dovuto lasciarci direttamente a Chicago: una cosa facile. E invece alla South Station è arrivato un ciccione nero con gli occhiali che ha detto che c'erano dei problemi e ha spiegato delle cose. Io – parlo per me - non ho capito niente: guardavo le stanghette degli occhiali incastonate nelle pieghe della testa grassa muoversi mentre apriva e chiudeva la bocca. Con Laura ho seguito la massa fuori dalla stazione, fin davanti a due autobus gialli. Barcollavamo sotto il peso degli zaini. Abbiamo mostrato al ciccione i biglietti e quello ci ha indicato uno dei due bus.
Così siamo finiti alla stazione di Albany, dove abbiamo aspettato qualche ora il nostro treno (e il nostro alloggio per la notte). Quale sia stato il problema, credo che non lo sapremo mai. 
Già ad Albany il paesaggio era cambiato, comunque. Ed era quel che cercavamo. Dicevamo, io e Laura: va bene, ok, bellissime queste città americane. Ma la provincia? Com'è? Ed eccola qui, sulla strada di Albany: case di legno distanti, non più così ordinate e perfette – o almeno non tutte. Giardini di erbacce ingombri di detriti vari. Qualche prefabbricato, qualche roulotte.

Naperville certi giorni sembra un paradiso terrestre, certi altri una vasta e desolata distesa di nulla. In questo quartiere ci sono centinaia di villette in legno azzurro tutte uguali, che se ti dimentichi il numero civico non sai più qual'è casa tua. Guardo fuori dalla finestra: c'è un lago a meno di 10 metri, dentro ci sono le oche. Vento e pioggia sottile.
Marco è un ingegnere, questa è casa sua. Oggi si è alzato alle cinque per volare a Wichita per lavoro. Tra due giorni dovrà volare a Lecce, poi di nuovo a Chicago, poi a Torino. Poi? In Brasile. 
L'altra sera ci ha accompagnati a fare un giro a Chicago con due suoi colleghi italiani. C'era Davide, qui “in viaggio”, come dice lui, ma che da gennaio dovrà trovarsi una casa e trasferirsi definitivamente. C'era Lorenzo, che ha appena fatto l'upgrade, e cioè ha rinunciato al contratto italiano ed è stato assunto qui negli U.S. Quanto a Marco, siccome non ci sono le condizioni per restare come vorrebbe, tornerà presto a stare in Italia. Tutti e tre conoscono la lingua, i luoghi, la gente.
Io e Laura camminavamo dietro di loro per le strade del centro. Sembravano a loro agio ed allo stesso tempo spaesati, sempre e comunque stranieri. Si prendevano in giro, facevano battute colorite ad alta voce. Lorenzo faceva considerazioni sulla “fauna” locale che gli pascolava davanti agli occhi, per lo più costituita da manze.
Guardavo quelle tre ombre camminare davanti a me. Pensavo che due di loro non tornavano a casa da mesi. Ho sorriso pensando che per me era un po' come incontrare mio padre. Era così che doveva essere la sua vita quando io ero piccolo, a casa con mia madre, e lui in giro in qualche parte del mondo? A suo agio ed allo stesso tempo spaesato, straniero?

giovedì 3 novembre 2011

Lucky Star: tre giorni a New York

A New York ci andiamo con la Lucky Star, una compagnia di autobus gestita da cinesi. Ci lasciano giù in piena Chinatown e lì ritorniamo due giorni dopo per il rientro. Sedici dollari a testa andata e ritorno. L'affarone l'ha trovato Laura su Internet, in una delle sue lunghe ricerche fatte con un unica linea guida: find the cheapest solution!
L'autobus non è male: diciamo che è essenziale. Bianco, con una scritta adesiva verde, una stella al posto della A. L'unica pecca sono i vetri talmente sporchi che non si vede fuori. Una delle vetrate è doppia, sopra c'è scritto emergency exit. Tra i due strati di vetro c'è dell'acqua, come in un acquario senza pesci. Il livello dell'acqua ci indica se siamo in salita o in discesa.

Aron e Francesca ci ospitano per due notti, nel loro piccolo e caldo appartamento di Manhattan. Ci spiegano un sacco di cose, ci portano in giro. Stanno per sposarsi e per trasferirsi in California. Con loro scopriamo la cucina israeliana (se così è corretto tradurre in italiano), una delle esperienze culinarie migliori della mia vita. Scopriamo anche i knish, fatti di patate e spezie (ed eventuali aggiunte o varianti).
E scopriamo, per la seconda volta in questo viaggio, di essere ospiti graditi. Che l'ospitalità può essere un valore: un modo per arricchirsi, stringere legami, allargare la propria cerchia di contatti in un implicito, naturale e per nulla aritmetico do ut des.

Il rientro a Boston, per essere cheap, richiede di essere di lunedì e in tarda serata. Arriviamo in Chinatown in anticipo, stremati da tre giorni di turismo lowcost. Ci buttiamo sulle sedie della sala d'aspetto e ce ne stiamo lì a mangiare hot dog e ciambelle. Ogni cosa un dollaro. Austerity!
Con noi c'è un tipo magro sui venti, cinta dei pantaloni a mezza chiappa e cavallo al ginocchio, cappello da baseball portato al modo dei rapper. Fuma sigarette da un pacchetto verde.
Quando saliamo sul bus ci sediamo quasi in fondo. Il ragazzo che fuma si è già sistemato nell'ultima fila, vicino al bagno. Pochi altri passeggeri, tutti seduti ai primi posti. “Qui è più tranquillo” pensiamo pieni di sonno.
Ma dormire è impossibile. Il tipo si infila subito nel cesso a sboccare. Il cinese che controlla i biglietti conta i passeggeri e gliene manca uno. È lui, è quello nel bagno, gli diciamo al terzo giro di conta.
Durante il viaggio le vibrazioni e le poche luci sull'autostrada conciliano il sonno. Ma il tipo che fuma, fuma. Si infila in bagno ogni quarto d'ora. Odori non proprio di tabacco ci passano addosso.
Ma noi siamo troppo stanchi per sollevare lo zaino e spostarci più avanti.