venerdì 22 marzo 2013

Abbiamo perso la rotta


La sveglia suona alle sei.
Ma questa non doveva essere la vacanza della mia vita?
Al risveglio il mal di schiena è più acuto. È come se ogni notte il corpo iniziasse la propria guarigione, manifestando tutto il dolore, per poi scemare lentamente. Ma ogni giorno poi ci lavoro sopra come un matto, e si torna da capo. Senza riposo non c'è guarigione.
Il mio corpo mi dice che è ora di fermarsi. Cerca con la sua saggezza di compensare la mia ostinazione.
Metto da parte le imprecazioni che da subito mi salgono alle labbra. Infilo i vestiti e le scarpe, metto in bocca qualcosa di dolce ed esco dalla roulotte. Buio nero neozelandese, freddo invernale. Mi stringo nella felpa leggera e mi avvio: so che mi scalderò presto. A ovest il lago non si vede ancora, mentre il giorno che bussa a levante si può solo intuire, è una linea pallida all'orizzonte. Mi incammino in salita lungo la strada che porta alla rimessa, accanto alla casa dei proprietari. Lì mi aspetta una station wagon piena di stracci, detersivi, scope. Coi fari accesi taglio il buio come un bisturi sulla pelle candida di un bambino.
Abbiamo perso la rotta.
Quando ho finito coi bagni dell'edificio principale e con la cucina è l'alba. Tutto deve essere pulito e in ordine prima che i campeggiatori si sveglino, così che possano fare le loro scorregge mattutine nella tazza rilucente, o sbroffare le loro marmellate sui banchi lucidi della cucina. Mi avvio verso l'altro edificio, più piccolo e veloce da pulire.
Verso le otto torno in roulotte e sveglio Laura, che ieri sera è tornata tardi dal ristorante. È ora dei cosiddetti extra, ovvero le ore di lavoro che ci sono richieste in cambio dell'alloggio. Dopo una colazione veloce, la seconda per me, andiamo alla rimessa a prendere il pick-up e gli attrezzi per il giardinaggio. Ma questo posto è una giungla, e tagliare le piante dà la stessa soddisfazione che buttare sassi in mare nel tentativo di riempirlo.
Tutto questo per cosa? Per soldi? Ma siamo impazziti?
Alle dieci inizia il lavoro vero e proprio, ovvero si ricominciano da capo le pulizie, ma di fino. Finite quelle ci sono da rassettare i bungalow lasciati vuoti dai clienti in partenza.
Sapevo di essere a corto di energie. Ho deciso di lasciar perdere i ristoranti e venire a lavorare qui non solo perché pagano meglio. Volevo allontanarmi dallo stress, dalla competizione che c'è in tutte le cucine, dai ritmi indiavolati. “Me ne sto tranquillo coi miei cessi” pensavo. Ma il proprietario è partito per le vacanze subito dopo avermi assunto e ci ha messo James alle calcagna. Una piaga! Passa il tempo a controllare quello che facciamo: guarda i piatti delle docce in controluce in cerca di aloni, apre i bidoni dell'immondizia per vedere se li abbiamo svuotati davvero o se abbiamo fatto finta... E riesce sempre a inventarsi qualche appunto da fare. Una volta mi ha fatto proprio incazzare e gli ho detto “Senti, inizio a pensare che questo non sia lavoro per me." "Ma no," dice lui "voi ragazzi state facendo un ottimo lavoro, sono solo piccole cose..." "Io ho fatto anche altri lavori prima di venire qui," lo interrompo "a volte anche di una qualche responsabilità, ma ti assicuro che non sono mai stato sotto controllo come adesso. E pulisco cessi!” Laura mi ha detto che per la rabbia mi tremava la voce, e ora neanche mi ricordo cosa James mi abbia risposto, perché quando ancora stavo finendo di parlare già mi ero pentito di aver aperto bocca e pensavo che non era colpa sua. Se stavo diventando addirittura aggressivo c'era proprio qualcosa che non andava.
Vivo in uno dei posti più belli che abbia mai visto e vorrei scappare. Si aprono ampi orizzonti tutto attorno a me e io mi sento in galera. Fine pena: 3 maggio, quando atterreremo a Sydney per un breve assaggio di Australia. Il 6 maggio saremo a Singapore.
In Asia! Là sì che sarà tutto diverso.


mercoledì 13 marzo 2013

Che fine ha fatto il maniaco

Forse vi ricorderete la brutta pagina di questo blog in cui raccontavo di Steve, il maori da cui avevamo preso una stanza in affitto. Quello che poi, mentre non c'eravamo, entrava di nascosto a leccare le mutande di Laura. Beh, il suo processo è finito (nonostante la congiuntivite) e c'è stata anche un'indagine da parte della polizia e dei servizi sociali. Il risultato? Nove mesi di reclusione. (Pare che nella sua camera da letto siano state trovate cose interessanti, tra cui un sacco pieno di mutande altrui.)
Ora la sua casa sarà ancor più silenziosa, ma forse meno inquietante. Le pesanti tende a cerchi, vecchie  ma ordinate come tutto il resto, resteranno chiuse per un lungo tempo. Ma non impediranno alla polvere di depositarsi sul banco lucido della cucina, sui vecchi e ordinatissimi divani, sul televisore che prende solo tre canali. 
A quanto pare da queste parti chi sbaglia paga. Chi commette reato va in galera. E non è che poi i suoi amici vanno a fare i pagliacci fuori dal tribunale: probabilmente se lo facessero metterebbero dentro anche loro, per abuso di stupidità (degli altri).

mercoledì 6 marzo 2013

Wanaka e la voglia di partire

Dalla finestra di "casa"
Il giorno di San Valentino arriviamo a Wanaka, la piccola città in cui abbiamo scelto di vivere per i prossimi mesi. Kiwi, il lamierone, ci ha regalato migliaia di chilometri collezionando guasti anche seri, emanando odori di bruciato e perdendo liquidi, ma senza mai fermarsi davvero. Ci ha portati a destinazione, anche se tante volte siamo stati sul punto di arrenderci, di cercare un rottamaio e farla finita. E invece eccoci a spegnere il motore all'ombra di un grosso albero, nel lungo parcheggio di ghiaia in riva al lago. Scendiamo dalla macchina e allunghiamo le schiene incurvate da giorni e giorni di viaggio. Sappiamo bene quali dovranno essere le nostre prossime mosse: trovare un lavoro, trovare una casa.
Non siamo più gli stessi che atterrarono ad Auckland il 23 agosto scorso, né tanto meno abbiamo addosso i sorrisi beati di quando lasciavamo l'aeroporto di Linate l'11 ottobre del 2011, con gli zaini che scoppiavano d'entusiasmo. Adesso gli scoppiati siamo noi: siamo stanchi, lo dobbiamo ammettere a noi stessi. Non stanchi di viaggiare, di vedere colori mai visti prima, di imparare lingue diverse o di scoprire gente straniera. Siamo stanchi di...
“Ma tu sei stanca?” chiedo a Laura, improvvisamente incerto se parlare anche a nome suo.
“In che senso?”
“Stanca di viaggiare intendo.”
“Di viaggiare?”
Ci pensa. Poi dice: “Non sono stanca di viaggiare, sono stanca di... Rattoppare.”
Rende l'idea. Rattoppare come accontentarci sempre, fare i salti mortali per risparmiare un euro, perché ogni euro risparmiato allontana di un'ora la fine di questo viaggio. E questo comporta una dose di scomodità, frustrazione e rinuncia che va attentamente bilanciata con il nostro stato d'animo e la nostra condizione fisica, per non perdere il senso di tutto. E nel pensare a questo mi rendo conto di non aver mai avuto tanti acciacchi come ora in vita mia, a cominciare da questo mal di schiena pungente e continuo, forse dovuto al tanto guidare. Forse.

Nella quiete della biblioteca di Wanaka aggiorniamo e stampiamo una decina di copie dei nostri curriculum. In poche ore battiamo tutti i bar e ristoranti: molti dicono no, perché la stagione è in declino, qualcuno dice forse, e prende il curriculum con la promessa di farci sapere. Laura fa una prova in un bar per un posto al bancone. Mentre lei cerca di fare un cappuccino decente, con la schiumetta e tutto, io parlo con lo chef di un ristorante, ma non riesco proprio a rendermi accattivante. Se mi guardo da fuori vedo uno straccio da pavimenti usato da tutti e due i lati.
Nessuno di noi due ottiene nulla di concreto, solo i classici “Le faremo sapere.” Lo sappiamo che non sempre si può trovare un lavoro in un'ora, che basta aspettare un paio di giorni e l'occasione arriverà. Ma ci riesce difficile lo stesso crederci.

La soluzione arriva, ma in modo imprevisto. Fuori dal giro della ristorazione, un po' per caso e un po' per una nostra intuizione (non so ancora se fortunata). Nel bagno del campeggio in cui passiamo la nostra prima notte, attaccato alla parete un cartello dice: “Cercasi una persona o una coppia per mantenere pulito e ordinato questo campeggio. Chiedere di Glenn in ufficio.” perché non tentare? Magari il lavoro non sarà un gran che, ma il posto è bellissimo. A sei chilometri dal centro, proprio sulla riva del lago nel punto in cui diventa fiume. Che importa se c'è da fare le pulizie, se si può vivere qui? E poi, basta cucine. Basta ritmi stressanti e cuochi nervosi, in competizione continua.
Alla fine salta fuori che pagano anche meglio che nei ristoranti. Due dollari in più all'ora rispetto al Landing, che nel frattempo mi ha offerto un lavoro che lascerò dopo due sole serate. Accettiamo il lavoro, con l'intenzione di farne la mia principale occupazione, mentre Laura (meno acciaccata di me) cercherà un altro lavoro per la sera. Lo troverà da Francesca's, il ristorante italiano e pizzeria della città.
Il lavoro qui al campeggio consiste nel pulire i bagni e la cucina, e di solito io e Laura lo facciamo insieme. Ci toccano poi alcune ore di giardinaggio in cambio dell'alloggio (che poi è una roulotte vecchia di trent'anni, ma con vista panoramica). I nostri diretti superiori sono Vicky e James, una coppia di sessantenni che circa un anno fa ha deciso di vendere casa e di comprare un bus, nel quale vivono un po' qua e un po' là a seconda delle stagioni. Sono un po' pedanti, ma simpatici.

Abbiamo un lavoro e una casa a Wanaka, nel più bello dei posti, ma se fosse per noi partiremmo subito per l'Asia. Andremmo a riposare e passeggiare a passo di turista: ogni giorno un pasto caldo seduti a un tavolo, ogni notte un letto dalle lenzuola fresche. Perché sentiamo di essere vicini a perderlo quell'equilibrio, e se la frustrazione supera il piacere di essere dove siamo, allora esserci non ha più senso.
Ma non vogliamo tornare a casa, non è ancora il momento. E allora sì, ci serve un lavoro, perché il nostro conto neozelandese langue e il cambio con l'Euro è svantaggioso. Ne discutiamo a lungo, Laura e io, e sembra proprio che non ci sia scelta. Dobbiamo tenere duro ancora un po'.

La "casa"