Mi sono presentato in tutti i bar e ristoranti, curriculum alla mano. “Aiuto cuoco italiano, esperto in pasta e pizza” diceva il riassunto. E tutto infatti è andato liscio, come l'altra volta, quando a Cuzco questo era bastato a fare di me un docente con una schiera di allievi in divisa che pendevano dalle mie labbra. Anche qui a Taupo questo è bastato, quasi al primo tentativo. Darren, il proprietario del locale, mi ha illustrato i termini del contratto mentre Kathy, la chef, mi ha guidato per un tour tra le stufe, i magazzini e le celle frigorifere. Tour che si è concluso davanti ad un lavandino traboccante di piatti e padelle, tazze e posate che spuntavano oltre la coltre di grasso, riso e foglie di rucola. “Ok, benvenuto!” mi ha detto Kathy. “Quella è la spugna, quello è il detersivo.”
Ma non pensiate che ci sia rimasto male. Se c'è una cosa che mi piace fare per guadagnarmi da vivere è muovere le mani e fissare il vuoto. Intanto è già iniziato il mio addestramento: devo imparare a fare i panini in menù, le patate fritte, le uova con bacon e una serie di altre cose, così da potermi alternare con gli altri e cambiare postazione di tanto in tanto. Come spiegare che io voglio lavare i piatti?
Dalle fessure della porta della cucina, oltre i tavoli e le teste dei clienti, si vede un pezzetto di lago, come in una foto verticale scattata col grandangolo. Quando nel primo pomeriggio il lavandino è vuoto, attraverso la strada e con il mio natante solco le acque del lago Taupo, alla ricerca di spiagge remote e sconosciuti orizzonti. (Qui tutti hanno un motoscafo una barca, o almeno una canoa. Perché io non dovrei avere qualcosa che galleggia? Bisogna pur imparare, poco alla volta, a godersi la vita. La Nuova Zelanda è una buona scuola in questo senso.)
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