lunedì 29 aprile 2013

Manifesto dei viaggiatori stanchi


In vista dell'imminente avventura euroasiatica, pur contrari ad inciuci e governissimi, benché almeno la metà di noi sia obiettivamente impresentabile (nel senso che ha bisogno di una doccia)...
In barba agli intransigenti e ai loro veti, memori della nostra storia passata, di cui è bene assumersi ogni responsabilità e da cui bisogna pur imparare, in data odierna ci siamo riuniti in seduta comune sul letto sfatto della roulotte e abbiamo approvato con voto unanime quanto segue.

  • Disprezziamo la scomodità in ogni sua forma.
  • Ogni giorno almeno un pasto caldo seduti a un tavolo. Basta panini e scatolette. Soprattutto, basta cucinare sui comodini ammuffiti delle pensioni a una stella.
  • Ogni notte un letto vero in una stanza dignitosa, dotata di doccia. Si scarteranno sistematicamente le prime due bettole in ordine di prezzo.
  • I taxi collettivi una soluzione affascinante? Nah!
  • Indigeni d'ogni dove, imbrogliateci pure! Mai più discussioni al mercato o sugli autobus per spuntare lo stesso prezzo dei locali. Sei bianco? Paga pegno e taci.
  • Se ci sono due strade possibili, memo: quella più tortuosa non ha assolutamente nulla da insegnare. Solo polvere e mal di schiena.
  • Quando l'ostacolo si fa insormontabile, noi molliamo la presa. Per avere un visto di un mese volete la lettera d'invito (ma di chi, che non conosco nessuno?), il voucher di viaggio (e che cazzo è?), cinquantaquattro foto tessera, la prenotazione di un hotel tra quelli nella vostra lista, il biglietto di uscita, il visto per il paese d'arrivo, una dichiarazione del mio datore di lavoro che dica che sono in vacanza, un'assicurazione sanitaria di quelle nella vostra lista, eccetera eccetera? Beh... Non ci meritate!
  • Sputeremo chiunque dovesse profferire la frase: “Io non sono un turista, sono un viaggiatore”. Sputeremo anche lo specchio, se necessario.
  • Placheremo il nostro disgusto per l'insegna “Backpackers”. Se non c'è alternativa a portata di mano, che sarà mai passare una notte in un ostello? In una camera da dodici, col cesso in comune, per un prezzo doppio rispetto a quello delle pensioni “locali”? Se non altro avremo Internet.
  • Prima viene l'obiettivo, poi le valutazioni economiche sulla fattibilità, quindi lo stanziamento dei fondi necessari. Abbiamo sempre fatto al contrario...
  • Il lavoro debilita la donna, e rende l'uomo di pessimo umore. Finiti i soldi, finito il viaggio.

    Firmato, Laura (Presidente della Carovana) e Andrea (Vice Facchino)

giovedì 18 aprile 2013

Sold!


Andata. Anche più velocemente di com'è arrivata. Forse la burocrazia italiana un senso ce l'ha: serve a darti il tempo di elaborare il lutto.
L'appuntamento è alle cinque nel parcheggio del supermercato New World con un certo Mac, sentito per telefono e poi via SMS. Siamo già d'accordo sul prezzo ma non voglio illudermi troppo, soprattutto dopo le recenti avventure (prima con un cinese che rideva di continuo ed ha voluto provare la macchina, rischiando tre incidenti per poi dire “Ci penserò”; poi con un tale che non si è presentato, non ha avvisato e non ha più risposto alle mie telefonate).
Invece Mac si presenta, insieme a due amici suoi. Tre neozelandesi fatti e finiti, poco più che ventenni, easy nella loro sciatteria ostentata da californiani caduti in disgrazia. Mac indossa pantaloncini cortissimi e una canottiera, ai piedi un paio di Espadrillas e calzini a mezzo stinco (di quelli che noi italiani vediamo indossare agli anziani sui campi da bocce). Gli altri due, corporatura da rugbisti, vestono allo stesso modo ma sono scalzi.
Propongo di spostarci in un luogo più tranquillo e saliamo tutti in macchina. All'improvviso mi sento disorientato: avrei mai fatto una mossa del genere in America Latina? Io da solo con quei tre? È incredibile come le abitudini e le attitudini verso gli altri cambino radicalmente a seconda del contesto sociale. Nemmeno in Italia, forse, mi sarei messo in questa situazione. Invece qui mi è sembrato, ed è, assolutamente naturale.
Mi fermo in un altro parcheggio, questa volta deserto, a pochi minuti dal New World. I ragazzi scendono e Mac mi chiede di aprire il cofano. Temo già domande del tipo: Ma, questo tubo penzolante? Oppure: Ogni quanto tempo devi rabboccare il liquido del radiatore? Ma i sei occhi sorvolano soltanto la poderosa ferraglia marchiata Toyota. Mac scalpita per chiudere l'affare e andare a farsi un giro coi suoi amici. Mi dice che è riuscito a racimolare la somma, ma gli mancano 10 dollari. “Oggi le banche sono chiuse e lui” dice indicando l'amico più grosso “oggi è la mia banca.” L'amico grosso mi porge una mazzetta di banconote. “Non c'è problema per i dieci dollari” dico io, che ancora non ci credo. Mac non lo sa, ma io glie l'avrei anche regalata pur di liberarmene.
Firmiamo un contratto di compravendita e compiliamo i moduli per il passaggio di proprietà. Il tutto sarà durato meno di dieci minuti. “Check it out!” dice Mac ai suoi amici, voce entusiasta e sorriso felice. I tre salgono in macchina e Mac mette in moto.
E io rimango lì, in mezzo al parcheggio deserto, mentre Blue Kiwi si allontana con una leggera sgommata. Quella che per mesi è stata un riparo contro pioggia e vento, un letto per la notte, un mezzo di trasporto, un magazzino... Non mi appartiene più. Guardo le banconote nella mia mano destra, le soppeso. “Forse dovrei contarle” penso. Rialzo lo sguardo e vedo Blue Kiwi avvicinarsi di nuovo, in retro marcia. “Ti serve un passaggio da qualche parte?” dice Mac. Neozelandese fatto e finito, non solo nell'abbigliamento.

domenica 14 aprile 2013

Portarsi avanti, ma dove?

La roulotte in cui viviamo ci costa un'ora di lavoro a testa al giorno. In totale 104 ore il cui conto va tenuto a parte rispetto al lavoro “normale” e che possiamo gestire come vogliamo: scegliamo noi in che giorni farle e a che ora, l'importante è che i conti tornino. Abbiamo calcolato che se ogni giorno facciamo due o più ore a testa finiremo di pagare il nostro debito entro un mese e poi potremo riposarci, abbassare il ritmo e prenderci una sorta di mezza vacanza. Certo è dura, perché l'altro lavoro, quello “normale”, certi giorni è impegnativo da spezzare la schiena. Ma ogni fatica si sopporta se è per un motivo, se serve a guadagnarsi un po' di libertà. Così ci portiamo avanti.
La nostra stessa presenza qui a Wananka è un portarci avanti, ha ormai il solo scopo di fare più soldi possibile, soldi di cui potremo godere una volta in Asia.

Portarsi avanti... Ho iniziato da bambino a mandare giù la pillola, quando i miei mi dicevano “Portati avanti coi compiti, così poi sei libero di giocare e di fare quello che vuoi.” Ma allora ero più saggio e non ci pensavo proprio. Non era necessario che ci ragionassi sopra, la risposta era immediata tanto era lampante l'illogicità del consiglio. “Perché dovrei mettere un ostacolo tra me e ciò che voglio,” pensavo senza sapere di pensare “quando ciò che voglio lo posso avere ora? Io sono libero, non ho bisogno di fare i compiti per poi sentirmi libero di giocare. Io gioco adesso e caso mai, ma è tutto da vedere, caso mai poi faccio i compiti.
Con un po' di arroganza, e certo di nascosto, ho sempre fatto così ed ero felice. I compiti li ho fatti raramente, sempre all'ultimo momento e quasi mai per intero. E le scuole le ho finite, come quasi tutti. Solo che io mi sono divertito un mondo, sempre in giro in bicicletta con la musica nelle orecchie.
Portarsi avanti sembra essere un atteggiamento necessario per sopravvivere di questi tempi. Ogni giorno facciamo qualcosa di cui godremo un qualche domani: risparmiamo soldi per le vacanze, costruiamo case al pian terreno per quando saremo vecchi, investiamo anni ed energie per conseguire titoli di studio. Lavoriamo duro, sempre sotto stress, tanto da farci scoppiare le arterie. E poi facciamo jogging, ci mettiamo a dieta, prima che ci venga un infarto. Compriamo i cibi “bio” all'Esselunga, come se bastasse una mela ammaccata a far pari con tutte le levatacce, le sgommate ai semafori e le attese cariche di preoccupazione. Mi ha colpito una frase che ho letto da qualche parte, attribuita al Dalai Lama: “Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente” dice “è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.”
Rinunce, frustrazioni, occasioni mancate. E siamo contenti così, perché verrà il giorno in cui godremo i frutti di tutto questo seminare. Quindi bene, avanti, portiamoci avanti. Ma avanti dove?

Oggi non mi porto avanti. Oggi cammino seguendo la riva del lago, ascoltando i sassi scricchiolare sotto alle suole. Dopo un centinaio di metri lo specchio d'acqua si restringe e, senza che vi sia un confine preciso, il lago non c'è più. È diventato fiume. La spiaggia si fa stretta come un sentiero e si infila in un bosco. Io cammino per un quarto d'ora, fino ad arrivare ad un'altra spiaggia, nascosta. Lì c'è un albero gigante il cui tronco è squarciato alla base, forse da un fulmine di secoli fa. Nonostante lo squarcio, o forse proprio grazie a quello, l'albero è cresciuto in due direzioni diverse: un tronco verso la montagna, l'altro a far ombra al fiume. Mi siedo sull'erba soffice a non fare niente, tranne che respirare. Me lo disse una volta un osteopata di Milano: “Ogni tanto ricordati di respirare, respirare profondo.” Me lo diceva in merito ai miei dolori di schiena, al mio vivere sempre teso e contratto che, secondo lui, mi avrebbe un giorno portato ad un qualche malanno. E allora io respiro, rimango indietro e mi porto avanti.

domenica 7 aprile 2013

L'arca di Natsuko

Inquinamento in Giappone
Fin dai primi giorni qui all'Outlet Holiday Park di Wanaka avevo notato quella presenza silenziosa e delicata. Una donna dai tratti orientali, elegante nella semplicità di jeans e maglietta, quasi sempre neri, stava seduta al tavolo da giardino fuori dal bungalow che aveva affittato, accanto ad un cane bianco e spelacchiato. Era di solito intenta a scrivere al suo Mac Book, tanto che avevo ipotizzato fosse una scrittrice. Salutava sempre, timida e cordiale, ogni volta che io o Laura le passavamo davanti, indaffarati nei nostri compiti quotidiani. Sorrideva da una distanza che mi sembrava pronta a farsi presenza, se solo qualcuno avesse voluto andare oltre le formalità. Era evidentemente vegetariana, dato che la incontravo spesso in cucina, intenta a bollire ogni tipo di verdura nella sua pentola di terracotta. Mi incuriosiva.
Poi un giorno sparì. Cioè, partì, e io ci rimasi male. Ero troppo concentrato su me stesso, sul mio mal di schiena e sul nuovo lavoro, e avevo perso un'occasione. Non sapevo niente di lei: da dove venisse, dove andasse e perché. Venni solo a sapere che aveva fatto richiesta per questo lavoro anche lei, ma evidentemente io e Laura avevamo avuto la meglio.
La riconobbi subito quando tornò, circa un mese più tardi. Anche lei riconobbe sia me che Laura e ci salutò col suo sorriso forse infelice, ma di certo sincero.

Viene da Okinawa, un'isola giapponese, e si chiama Natsuko. Se n'è andata dal suo paese per via del crescente inquinamento proveniente dalla Cina, dice, e perché il Giappone è diventato un posto terribile in cui vivere. Si occupava di animali abbandonati ed è partita portando con sé un cane e quattro gatti, tutti vecchissimi e malandati, tutti trovatelli che non è riuscita a piazzare. In Giappone, dice, stavano sempre male. Uno dei suoi gatti quasi non camminava più, ma arrivati in Nuova Zelanda ha iniziato subito a stare meglio e nel giro di una settimana era guarito.
Natsuko vorrebbe trasferirsi qui, ma non riesce a trovare un lavoro. È troppo vecchia per richiedere, come abbiamo fatto noi, il visto Working Holiday, mentre per richiedere un visto di lavoro dovrebbe trovare qualcuno disposto ad assumerla e ad accompagnarla nella procedura. Un bel problema. Durante questo mese si era trasferita da alcuni amici in città, dove era più facile muoversi tra annunci di lavoro e colloqui. Ma poi quelli hanno dovuto cambiare casa e lei è tornata qui, con le sue gabbie, i suoi animali e le sue casse di legno contenenti tutto ciò che ha. Mi dispiace che non stia avendo fortuna: noi ne abbiamo avuta molta, e non ne avevamo altrettanto bisogno.
Poi mi viene in mente che Laura e io ce ne andremo presto e che il nostro posto sarà di nuovo libero. Glielo dico, e Natsuko mi fa presente che si era già fatta avanti, ma senza successo. Io fingo di non saperne niente, penso che la partita è di nuovo aperta ora che i due italiani sono fuori dai giochi. Decido di parlare con Glenn, il proprietario, e di fargli notare che questa potrebbe essere un'occasione per tutti: lui troverebbe una lavoratrice stabile, lei una via d'uscita al suo problema. Ma Glenn glissa, dice che l'inglese di Natsuko è troppo limitato perché possa lavorare qui. Io sgrano gli occhi: il suo inglese non è molto peggio del mio.
Glenn è una persona per bene,corretta e generosa. Ma gli affari sono affari, e Natsuko un buon affare non è, coi suoi animali fragili, la sua solitudine e i problemi di visto. Lui non lo dice, ma è chiaro che la questione è tutta lì.
Ma Natsuko mi sorprende, non demorde. Qui in Nuova Zelanda vorrebbe occuparsi di riforestazione, “perché so” dice “quanto gli alberi siano importanti per la salute nostra e dell'ambiente.” Le consiglio di spostarsi all'Isola Nord prima che scada il suo visto turistico. “Là ci sono più possibilità” le dico, ma capisco che lei ha scelto questo posto e che vuole rimanerci. Non mi sembra giusto chiedere a chi ha le idee chiare di ripiegare, di accontentarsi di qualcosa di diverso da ciò che ha sognato per sé. Ha ancora due mesi di tempo.

martedì 2 aprile 2013

Il cattivo in questa storia è quella voce

Il cattivo in questa storia è quella voce. “Fermati,” dice, “fai lo zaino e tornatene a casa. Mentre sei lontano la terra del cortile beve ogni goccia d'olio che il motore della tua macchina lascia cadere. Il sole sbiadisce le persiane chiuse e la ruggine si sta mangiando, giorno dopo giorno, la cassetta della posta. 
Torna a casa allora, prima che i tuoi amici si dimentichino dei tuoi occhi, non ebbri ma neanche sobri, alla seconda pinta di Chouffe. Affrettati, finché sai di trovare tua nonna al tavolo della cucina, sola coi suoi pentolini di rame appesi al muro. E tuo nonno, anche lui solo nella sua piccolissima stanza, che ha costruito con le sue mani ormai quasi una vita fa.
Muoviti, o ti ritroverai in un posto troppo cambiato, che non riconoscerai e che non ti riconoscerà più. E allora straniero sarai per davvero, ma non ti piacerà, perché non avrai più una casa a cui tornare.”

E' arrivato l'autunno (foto di Laura)