venerdì 27 gennaio 2012

Via dalla città

Le acque de Las Brisas
Questa mattina ci siamo svegliati in un alberghetto di Cuetzalán, un paesino di strade lastricate e scoscese che conta, tra le altre cose, una cattedrale, un ostello e un bordello (se lo so è solo perchè il proprietario, titolare anche delle pompe funebri di rimpetto, in ciabatte fuori dalla porta del locale, ha scambiato due parole con noi a proposito delle imminenti elezioni messicane... Ci ha anche offerto una birra ora che ci penso. E ci ha invitati a entrare, così nel mezzo del discorso. Va beh.)
Ci siamo svegliati, dicevo, e di buon ora: Las Brisas ci aspettavano. Non so perchè il nome sia al plurale, visto che si tratta di una cascatella che si tuffa in acque verde scuro, in mezzo ai monti dove non c'è nessuno. Tutto il contrario dei colori aridi che solo ieri avevamo intorno, alle rovine di Cantona.

Ma arriva adesso il momento che aspettavo.

La Sierra Madre. Come gli Appennini in un ingrandimento in scala 3:1.
Abbiamo viaggiato per ore (sei ore) sballottati dentro ai Nissan Vanette, seguendo un itinerario di coincidenze scritto su un foglietto da un vecchio di Cuetzalán.
L'autista dell'ultimo colectivo che prendiamo ha una camicia verde padania (scusate, la maiuscola non gliela concedo) e traccia traiettorie sull'asfalto degne di un pilota di rally. Ogni tanto si aggrappa alla zampa di capra che pende al centro del parabrezza e aziona una tromba assordante, intima a tutti di fare largo. Ci sa fare il ragazzo, solo che forse non si ricorda che stipati dietro e accanto a lui ci sono una ventina di persone. Ci sono poi casse di verdure e altre mercanzie dall'odore pungente, che le donne riportano a casa dai mercati, ora che la giornata sta finendo. Non immagina che il machete appeso alla cinta del campesino in piedi accanto a me mi sta accarezzando lo stinco, affettuosamente.
Ma lo spettacolo fuori dal finestrino vale la pena. Ci lasciamo portare, fiduciosi che questo sistema di trasporti funzioni e ci riporti a casa. Intorno a noi, donne dai vestiti bianchi dai bordi colorati, parlano una lingua (il náhuatl) fatta di suoni morbidi, di fischi e fruscii; sulla strada incontriamo pascoli immensi con poche bestie, piccoli villaggi, cani magri e malandati.
Poi di nuovo la città, triste e rassicurante allo stesso tempo. Si tratta di Zacatlán, che a quanto ci hanno detto Dianne e Carlos varrebbe la pena visitare. Ma è già buio, e l'ultimo pullman per Puebla è in partenza. Facciamo solo in tempo a farci fare due tacos con chorizo alla stazione, prima di affrontare le ultime tre ore di questa parentesi, questo breve viaggio incastrato nella sosta di un viaggio più grande.

venerdì 20 gennaio 2012

Del nostro regime alimentare

L'insegna dice Hosteria Angel. Dentro il posto è buio e non ha nulla di diverso dall'officina del fabbro dall'altro lato della strada, o dal garage del meccanico. Pavimento e pareti, fino all'altezza dei tavoli, sono rosso mattone mentre il resto del muro e il soffitto sono giallo ocra. Pochi tavoli in fila lungo il muro e una radio portatile, su un tavolino in fondo, che trasmette l'Anna Tatangelo locale.
Oggi ci fermiamo qui e ci sediamo pure, come i signori. Come la gente normale. Ci attirano i pentoloni fumanti all'ingresso (qui si cucina sulla soglia, quale miglior menu?) e il profumo di carne alla griglia. Abbiamo un'idea precisa in testa: la pechuga empanizada. Una bistecca impanata, praticamente, con patate fritte e riso. Una meraviglia, davvero. L'ultima volta che siamo stati qui ho mangiato una coscia di pollo in brodo piccante che ancora me la sogno la notte (per quanto era buona, e per quanto era piccante).
Da quando siamo qui la musica è cambiata, e non mi riferisco alla Tatangelo al posto del Jazz. Negli Stati Uniti seguivamo due tipi di dieta: quando avevamo una casa in cui stare, facevamo la nostra povera spesa (vabbé, niente Barilla e niente Parmigiano; niente verdure, che costavano un occhio; niente carne rossa... Ma tutto sommato c'era roba dignitosa). Facevamo la spesa, dicevo, e cucinavamo cose più o meno sane: pasta, pollo, risotti, pizze. Quando invece eravamo fuori la faccenda era più tragica e più comica. C'era poco da scherzare: ti distraevi un attimo dietro alla voglia di un caffè e partivano dieci dollari. Quindi eravamo fissi da Mac, affezionati al dollar menù: due cheesburger e il pasto era fatto, con due dollari più le tasse. L'acqua, ce l'avevamo nello zaino. Quando proprio la fame non ci lasciava in pace, davamo il colpo di grazia con due ciambelle di Dunkin Donats (sempre per un dollaro ciascuna) e via.
Qui in Messico ci possiamo rilassare un po'. Per la cena facciamo sempre la nostra povera spesa al mercato del quartiere (non più da Dominick's), mentre per il pranzo spesso ci concediamo le tante bontà che Puebla offre, ad ogni angolo di strada, più o meno al prezzo del cheesburger di cui sopra. Due giorni fa, tanto per dirne una, qui sotto casa abbiamo mangiato due cemitas con milaneza, che consistono più o meno in questo: una bistecca impanata, papaia, peperoncino, formaggio fuso, patate fritte, cipolla e salsa piccante. Il tutto tra due fette di pane locale, la cemita, appunto (altro che Big Mac). Eravamo estasiati, nonostante all'inizio ci fosse sembrata una porcheria. Tutt'altro!
Più spesso ci fermiamo in uno dei tanti baracchini a mangiare tacos o cemitas con arabe, che è una specialità di qui e somiglia molto al Kebab (la carne ha un sapore simile ed è cotta allo stesso modo).
Dove vai vai, qui a Puebla, c'è sempre qualche griglia che frigge, qualche pollo arrosto che gira e ti chiama per nome e ti dice vieni, dico a te, vieni.

venerdì 13 gennaio 2012

Oggi ho affittato una sedia

Nella stanza non c'è neanche una sedia.
È una settimana che siamo chiusi qua dentro con la febbre.
La padrona di casa è tirchia.
Se ti alzi dal materasso poi non sai più dove appoggiarti, o dove appoggiare la tazzina del caffè. Rimani in piedi, con la tazzina in mano, fin quando è ora di tornare al materasso.
La schiena... Ohi..
Qua dentro non c'è NIENTE, neanche una sedia di fantasia.
Sono uscito a cercare delle sedie.
Sono più tirchio della padrona.

Così, rientrando a mani vuote e rimuginando sui miei dispiaceri, mi sono imbattuto in una bottega piccolissima e traboccante del più desiderato dei beni.

“Buon giorno signore.”
“Buon giorno a lei. Come posso servirla?”
“Sono in vendita queste sedie?”
“No, sono a noleggio.”
“E quanto vengono?”
“Questa più comoda 5 pesos al giorno, queste altre 2 e 50. Ma quante gliene servono?”
“Mah... due.”
“Due?”
“Sì, per un mese. Ha anche tavoli?”
“Certo, ma solo quelli lì grandi. Io lavoro per i ristoranti, per le feste, le manifestazioni...”
“Certo... Allora solo le sedie.”
“Quale desidera?”
“Quella più scomoda.”
“Per quanti giorni?”
“Esattamente venticinque.”
“Posso farle cento pesos. Solo due allora?”
“Facciamo una, una sola.”
“...”
“Ci sediamo un po' per uno.”
“Come desidera. Sono cinquanta pesos.”
“A lei. Grazie molte e arrivederci!”
“Arrivederci.”

lunedì 9 gennaio 2012

Dianne

E alla fine l'appartamento l'abbiamo trovato. Sarebbe più corretto chiamarla camera, ma resta il fatto che è una sistemazione niente male, dotata di:

- zona notte



- angolo cottura,




- sala da pranzo,



- Jacuzzi,


- termoautonomo



Fermarci un po' in un posto ha diversi vantaggi. Il primo (il denaro viene sempre per primo!) si abbassano le spese e la media giornaliera (abbiamo tutto un taccuino fitto fitto di conti) torna ad una soglia al di sotto del limite d'allerta. Secondo, fermarsi un tempo relativamente lungo significa conoscere i luoghi e le persone in un modo diverso, un poco più profondo. Poi ci si riposa la schiena, ci si ritrova in una quotidianità per nulla disprezzabile; si ha il tempo di pensare indietro e avanti, di progettare, tenere contatti. Nel mio caso c'è il tempo per scrivere e perdere tempo (è così piacevole) sul web.
In questa casa non siamo ospiti di nessuno, per la prima volta (ostelli e bettolacce varie a parte). Ma ancora una volta sono rimasto senza parole né gesti di fronte alla generosità della gente. Ricordate la donna preoccupata, quella seduta dietro di noi sull'aereo per Città del Messico? Si chiama Dianne ed è un avvocato, figlia di padre newyorchese e madre messicana. Scendendo dall'aereo mi era venuto in mente di chiederle consiglio su quale compagnia di autobus prendere e in quale stazione per arrivare a Puebla da Città del Messico. Lei è stata molto carina e disponibile, da subito. Ci ha dato le informazioni che ci servivano e ci ha dato il suo numero di telefono pregandoci di chiamarla, senza farci problemi, dato che abita vicino Puebla. Così ci siamo salutati: lei nella fila dei cittadini messicani e noi dall'altra parte, con gli extracomunitari.
A Puebla siamo rimasti tre giorni all'Hostal S.to Domingo. Una bettola, tanto per cambiare: camerata da 18 con tanto di petomane e russatore professionista, freddo polare, cesso che non si chiude. C'è poi da dire che da queste parti sono piuttosto abili nel vendere ciò che in realtà non c'è. Per esempio, doveva esserci il servizio lavanderia. E non è che non c'era: solo si trattava di fare tutte le proprie cose in un fagotto entro le 11 della mattina e di consegnarle a una signora, che le avrebbe portate in lavanderia per 40Mex$ (ce le abbiamo portate noi, per 13). Allo stesso modo all'Hostal Moneda di Città del Messico vantavano (sul sito Internet) il servizio trasporto dall'aeroporto: basta una telefonata, dicevano. Dopo mezz'ora è arrivato un tale con una Pointer (una Polo venuta male) tutta scassata, con uno straccio infilato a chiudere la voragine dove un tempo c'erano le bocchette dell'aria. Si era appena alzato dal letto (erano le sette di sera) e tranquillo guidava facendo il pelo al traffico tremendo della città, con i Cure nell'autoradio a cassette. Il tutto per 160Mex$ (il tragitto inverso l'abbiamo fatto in metropolitana, per 6Mex$).
Ma stavo parlando di Dianne, mi pare. Al secondo giorno di permanenza all'Hostal le ricerche della camera procedevano, ma a rilento. Così abbiamo chiamato Dianne, che sembrava contenta di sentirci. Ci ha consigliato di comprare il Sol de Puebla (una specie di Settegiorni ma, spero, più serio) e di dare un'occhiata agli annunci in una certa sezione. Ci ha anche dato appuntamento al nostro Hostal per quel pomeriggio. Noi (io componevo il numero e reggevo il giornale) abbiamo fatto un po' di telefonate, ma ci siamo fermati in attesa di Dianne, per chiederle quali zone della città fossero migliori e quali assolutamente da evitare (c'erano strane differenze di prezzo). Lei è arrivata con il marito e una delle figlie e, senza perdere tempo, ha preso il giornale e si è messa a telefonare. Non sapevamo come comportarci. Alla seconda telefonata l'abbiamo sentita dire nel telefono: “Saremo lì entro venti minuti”. Poi ci ha detto: “Andiamo” e ci ha fatti salire in macchina. La stanza era troppo piccola per due, così abbiamo fatto altre telefonate. Il secondo appuntamento è andato meglio, anche se la stanza era gelida (compreremo poi una stufetta elettrica usata che non funzionerà) e buia (niente lampadine, finché qualcuno non paga l'affitto). Comunque ce la caviamo con 2300Mex$ al mese (circa 130€) e non è male.
Non sapevamo che dire a Dianne, a Carlos e alla loro figlia. Sappiamo solo che abbiamo imparato qualcosa da loro. Li abbiamo invitati a cena: non tanto per dovere (e comunque ci sembrava il minimo), quanto per passare dell'altro tempo con loro, per capire chi fossero davvero quegli angeli gentili. Ma alla fine Carlos è irremovibile: “La cena la pago io” dice. È un po' imbarazzante la faccenda (per noi), soprattutto per la difficoltà a comunicare nella loro lingua. Ma Dianne taglia corto e dice “Ci vediamo domani col colchon.”
“Eh?” dico io.
“Il colchon, il materasso. Ce n'è uno solo nella stanza. Vi porto anche qualcosa per fare le pulizie”.

Tutto questo è difficile da spiegare. In altre circostanze forse mi sarei tirato fuori da tanto interessamento. Vuoi per il vile sospetto che poi ci sarebbe stato un conto da pagare. Vuoi perché non è bello sentirsi di peso. Ma da quando siamo in giro (a Boston con Michael e Monica, a New York con Aron e Francesca, a Naperville con Marco e Sara, a Los Angeles con Berney e Kathy...) abbiamo respirato un'ospitalità e una naturalezza disarmanti. Una gioia di accogliere e conoscere, perfino. Non c'è dietro niente di più, davvero. Solo, ora sembra naturale anche a noi fare lo stesso quando ne abbiamo la possibilità. A quanto pare, c'è da guadagnarci in ogni caso. E c'è in ballo una ricchezza che sembra essere davvero inestimabile: un aprirsi di strade e orizzonti e possibilità inedite. Visto così, sembra che il mondo sia un bel posto in cui stare.

venerdì 6 gennaio 2012

Messico e nuvole

Quei maledetti barconi
In Messico apriamo le danze con una figuraccia, sull'aereo appena atterrato. Lo speaker dice qualcosa e, tanto per cambiare, io non capisco un tubo. Mi pare che dica di aspettare un attimo, che ringrazi per la pazienza; forse si scusa per un qualche inconveniente. Fatto sta che però le porte dietro di noi, seduti nella penultima fila, si aprono. Tre tali seduti in fondo si alzano e se ne vanno, solo una donna resta seduta. Laura si alza e, perbacco, lei lo sa lo spagnolo, avrà capito... Evidentemente è ora di scendere punto e basta. Faccio per seguirla ma rimetto subito il culo sul sedile perché vedo il tale seduto nella fila accanto che la prende per un braccio dicendo “No no no!” pieno d'apprensione. La donna dietro di noi dice qualcosa, anche lei preoccupata. Scopriremo poi che i tre tali erano dei Servizi segreti che dovevano scendere, per l'appunto, in gran segreto. Tutti l'avevano capito... Solo per noi era un segreto.
Ma a parte questo antefatto poi le cose sono andate meglio. L'ostello di Città del Messico puzzava di fogna, l'acqua calda c'era di rado e la colazione (quando arrivavi in tempo) faceva schifo. Però abbiamo fatto amicizia con i compagni di stanza: due ragazze francesi, un argentino e un peruviano. Con loro abbiamo passato il veglione organizzato dall'ostello: un cartello invitava ad una meravigliosa festa dalle ore 21, promettendo un banchetto niente male. Alla fine c'eravamo solo noi (quasi) e i panini sono arrivati a mezzanotte! Mi ero tenuto digiuno...
E poi, si sa, alle feste si balla. Questo dato di fatto mi ha consentito ci conoscere Richardo, un tedesco con gli occhi e i capelli da tedesco, alto alto, con una scarpa tenuta insieme dal nastro americano. Se ne stava lì appoggiato alla ringhiera della terrazza (la festa era sulla terrazza) a guardare giù e a scolare birre. Poi ha visto che io me ne stavo lì appoggiato al bancone a guardare in su e a scolare birre ed è venuto per fare due chiacchiere. Aveva quell'aria triste anche perché il giorno dopo gli toccava di tornare in Germania, dopo mesi in giro per il Sud America a fare il cooperante per una ONG. Più tardi, chiuse le danze e recuperata la moglie, siamo andati tutti e tre a fare un giro per il centro. Richardo ci parlava un po' in spagnolo e un po' in inglese, a seconda delle nostre lacune. Alla fine ci ha lasciato qualche riferimento utile per quando scenderemo più a sud.
Il primo gennaio passiamo la giornata con i nostri compagni di stanza. Decidiamo di lasciarci portare in giro senza fare troppe domande e finiamo in una trappola per turisti: sembrava trattarsi di una contemplativa gita in barca, tra le acque di canali antichi e misteriosi. Si è rivelata una scampagnata su una tangenziale acquatica, nell'ora di punta, con lavori in corso e tamponamento a catena. Un baccano infernale. Quei maledetti barconi dai nomi ridicoli, mossi da gondolieri armati di lunghi bastoni con i quali spingevano sul fondo, erano così tante che era un continuo scontrarsi, incagliarsi, arenarsi, intraversarsi, naufragarsi. A complicare le cose ci si mettono anche barconi di mariachi che ti vogliono vendere una canzone, barconi di venditori di tacos, di tequila, di giocattoli, di fiori. Alla fine l'impresa ci costerà 580Mex$ e se penso che fino a qui ci siamo tolti il cibo di bocca...
Intanto continuano, senza successo, le nostre ricerche per un appartamento a basso costo a Puebla. Città del Messico non è male: per strada mi sono pappato un sacco di tacos. Ma è una città troppo grande, troppo caotica, troppo difficile da interpretare. Abbiamo bisogno di qualcosa che sia più provinciale, più alla nostra portata. Il 2 gennaio salutiamo l'allegra compagnia e prendiamo un bus per Puebla, dove staremo in ostello per tre notti. Tre giorni per trovare un posto in cui stare.