mercoledì 27 marzo 2013
venerdì 22 marzo 2013
Abbiamo perso la rotta
La sveglia suona alle sei.
Ma questa non doveva essere la
vacanza della mia vita?
Al risveglio il mal
di schiena è più acuto. È come se ogni notte il corpo iniziasse la
propria guarigione, manifestando tutto il dolore, per poi scemare
lentamente. Ma ogni giorno poi ci lavoro sopra come un matto, e si
torna da capo. Senza riposo non c'è guarigione.
Il mio corpo mi dice che è ora di
fermarsi. Cerca con la sua saggezza di compensare la mia ostinazione.
Metto da parte le
imprecazioni che da subito mi salgono alle labbra. Infilo i vestiti e
le scarpe, metto in bocca qualcosa di dolce ed esco dalla roulotte.
Buio nero neozelandese, freddo invernale. Mi stringo nella felpa
leggera e mi avvio: so che mi scalderò presto. A ovest il lago non
si vede ancora, mentre il giorno che bussa a levante si può solo
intuire, è una linea pallida all'orizzonte. Mi incammino in salita
lungo la strada che porta alla rimessa, accanto alla casa dei
proprietari. Lì mi aspetta una station wagon piena di stracci,
detersivi, scope. Coi fari accesi taglio il buio come un bisturi
sulla pelle candida di un bambino.
Abbiamo perso la rotta.
Quando ho finito
coi bagni dell'edificio principale e con la cucina è l'alba. Tutto
deve essere pulito e in ordine prima che i campeggiatori si sveglino,
così che possano fare le loro scorregge mattutine nella tazza
rilucente, o sbroffare le loro marmellate sui banchi lucidi della
cucina. Mi avvio verso l'altro edificio, più piccolo e veloce da
pulire.
Verso le otto torno
in roulotte e sveglio Laura, che ieri sera è tornata tardi dal
ristorante. È ora dei cosiddetti extra, ovvero le ore di
lavoro che ci sono richieste in cambio dell'alloggio. Dopo una
colazione veloce, la seconda per me, andiamo alla rimessa a prendere
il pick-up e gli attrezzi per il giardinaggio. Ma questo posto è una
giungla, e tagliare le piante dà la stessa soddisfazione che buttare
sassi in mare nel tentativo di riempirlo.
Tutto questo per cosa? Per soldi? Ma
siamo impazziti?
Alle dieci inizia
il lavoro vero e proprio, ovvero si ricominciano da capo le pulizie,
ma di fino. Finite quelle ci sono da rassettare i bungalow lasciati
vuoti dai clienti in partenza.
Sapevo di essere a
corto di energie. Ho deciso di lasciar perdere i ristoranti e venire
a lavorare qui non solo perché pagano meglio. Volevo allontanarmi
dallo stress, dalla competizione che c'è in tutte le cucine, dai
ritmi indiavolati. “Me ne sto tranquillo coi miei cessi” pensavo.
Ma il proprietario è partito per le vacanze subito dopo avermi
assunto e ci ha messo James alle calcagna. Una piaga! Passa il tempo
a controllare quello che facciamo: guarda i piatti delle docce in
controluce in cerca di aloni, apre i bidoni dell'immondizia per
vedere se li abbiamo svuotati davvero o se abbiamo fatto finta... E
riesce sempre a inventarsi qualche appunto da fare. Una volta mi ha
fatto proprio incazzare e gli ho detto “Senti, inizio a pensare che questo non sia lavoro per me." "Ma no," dice lui "voi ragazzi state facendo un ottimo lavoro, sono solo piccole cose..." "Io ho fatto anche
altri lavori prima di venire qui," lo interrompo "a volte anche di una qualche
responsabilità, ma ti assicuro che non sono mai stato sotto
controllo come adesso. E pulisco cessi!” Laura mi ha detto che per
la rabbia mi tremava la voce, e ora neanche mi ricordo cosa James mi
abbia risposto, perché quando ancora stavo finendo di parlare già
mi ero pentito di aver aperto bocca e pensavo che non era colpa sua.
Se stavo diventando addirittura aggressivo c'era proprio qualcosa che
non andava.
Vivo in uno dei posti più belli che abbia mai visto e vorrei scappare. Si aprono ampi
orizzonti tutto attorno a me e io mi sento in galera. Fine pena: 3
maggio, quando atterreremo a Sydney per un breve assaggio di
Australia. Il 6 maggio saremo a Singapore.
In Asia! Là sì
che sarà tutto diverso.
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mercoledì 13 marzo 2013
Che fine ha fatto il maniaco
Forse vi ricorderete la brutta pagina di questo blog in cui raccontavo di Steve, il maori da cui avevamo preso una stanza in affitto. Quello che poi, mentre non c'eravamo, entrava di nascosto a leccare le mutande di Laura. Beh, il suo processo è finito (nonostante la congiuntivite) e c'è stata anche un'indagine da parte della polizia e dei servizi sociali. Il risultato? Nove mesi di reclusione. (Pare che nella sua camera da letto siano state trovate cose interessanti, tra cui un sacco pieno di mutande altrui.)
Ora la sua casa sarà ancor più silenziosa, ma forse meno inquietante. Le pesanti tende a cerchi, vecchie ma ordinate come tutto il resto, resteranno chiuse per un lungo tempo. Ma non impediranno alla polvere di depositarsi sul banco lucido della cucina, sui vecchi e ordinatissimi divani, sul televisore che prende solo tre canali.
A quanto pare da queste parti chi sbaglia paga. Chi commette reato va in galera. E non è che poi i suoi amici vanno a fare i pagliacci fuori dal tribunale: probabilmente se lo facessero metterebbero dentro anche loro, per abuso di stupidità (degli altri).
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mercoledì 6 marzo 2013
Wanaka e la voglia di partire
Dalla finestra di "casa" |
Non siamo più gli stessi che
atterrarono ad Auckland il 23 agosto scorso, né tanto meno abbiamo addosso i sorrisi beati di quando lasciavamo l'aeroporto di Linate l'11 ottobre del
2011, con gli zaini che scoppiavano d'entusiasmo. Adesso gli
scoppiati siamo noi: siamo stanchi, lo dobbiamo ammettere a noi
stessi. Non stanchi di viaggiare, di vedere colori mai visti prima,
di imparare lingue diverse o di scoprire gente straniera. Siamo
stanchi di...
“Ma tu sei stanca?” chiedo a Laura,
improvvisamente incerto se parlare anche a nome suo.
“In che senso?”
“Stanca di viaggiare intendo.”
“Di viaggiare?”
Ci pensa. Poi dice: “Non sono stanca
di viaggiare, sono stanca di... Rattoppare.”
Rende l'idea. Rattoppare come
accontentarci sempre, fare i salti mortali per risparmiare un euro,
perché ogni euro risparmiato allontana di un'ora la fine di questo
viaggio. E questo comporta una dose di scomodità, frustrazione e
rinuncia che va attentamente bilanciata con il nostro stato d'animo e
la nostra condizione fisica, per non perdere il senso di tutto. E nel
pensare a questo mi rendo conto di non aver mai avuto tanti acciacchi
come ora in vita mia, a cominciare da questo mal di schiena pungente
e continuo, forse dovuto al tanto guidare. Forse.
Nella quiete della biblioteca di Wanaka
aggiorniamo e stampiamo una decina di copie dei nostri curriculum. In
poche ore battiamo tutti i bar e ristoranti: molti dicono no, perché
la stagione è in declino, qualcuno dice forse, e prende il
curriculum con la promessa di farci sapere. Laura fa una prova in un
bar per un posto al bancone. Mentre lei cerca di fare un cappuccino
decente, con la schiumetta e tutto, io parlo con lo chef di un
ristorante, ma non riesco proprio a rendermi accattivante. Se mi
guardo da fuori vedo uno straccio da pavimenti usato da tutti e due i
lati.
Nessuno di noi due ottiene nulla di
concreto, solo i classici “Le faremo sapere.” Lo sappiamo che non
sempre si può trovare un lavoro in un'ora, che basta aspettare un paio di
giorni e l'occasione arriverà. Ma ci riesce difficile lo stesso
crederci.
La soluzione arriva, ma in modo
imprevisto. Fuori dal giro della ristorazione, un po' per caso e un
po' per una nostra intuizione (non so ancora se fortunata). Nel bagno
del campeggio in cui passiamo la nostra prima notte,
attaccato alla parete un cartello dice: “Cercasi una persona o una
coppia per mantenere pulito e ordinato questo campeggio. Chiedere di
Glenn in ufficio.” perché non tentare? Magari il lavoro non sarà
un gran che, ma il posto è bellissimo. A sei chilometri dal centro,
proprio sulla riva del lago nel punto in cui diventa fiume. Che
importa se c'è da fare le pulizie, se si può vivere qui? E poi,
basta cucine. Basta ritmi stressanti e cuochi nervosi, in
competizione continua.
Alla fine salta fuori che pagano anche
meglio che nei ristoranti. Due dollari in più all'ora rispetto al
Landing, che nel frattempo mi ha offerto un lavoro che lascerò dopo
due sole serate. Accettiamo il lavoro, con l'intenzione di farne la
mia principale occupazione, mentre Laura (meno acciaccata di me)
cercherà un altro lavoro per la sera. Lo troverà da Francesca's, il
ristorante italiano e pizzeria della città.
Il lavoro qui al campeggio consiste nel
pulire i bagni e la cucina, e di solito io e Laura lo facciamo
insieme. Ci toccano poi alcune ore di giardinaggio in cambio
dell'alloggio (che poi è una roulotte vecchia di trent'anni, ma con
vista panoramica). I nostri diretti superiori sono Vicky e James, una
coppia di sessantenni che circa un anno fa ha deciso di vendere casa
e di comprare un bus, nel quale vivono un po' qua e un po' là a
seconda delle stagioni. Sono un po' pedanti, ma simpatici.
Abbiamo un lavoro e una casa a Wanaka, nel più bello dei posti, ma se
fosse per noi partiremmo subito per l'Asia. Andremmo a riposare e passeggiare a passo di turista: ogni giorno un pasto caldo seduti a
un tavolo, ogni notte un letto dalle lenzuola fresche. Perché
sentiamo di essere vicini a perderlo quell'equilibrio, e se la
frustrazione supera il piacere di essere dove siamo, allora esserci
non ha più senso.
Ma non vogliamo tornare a casa, non è
ancora il momento. E allora sì, ci serve un lavoro, perché il
nostro conto neozelandese langue e il cambio con l'Euro è
svantaggioso. Ne discutiamo a lungo, Laura e io, e sembra proprio che
non ci sia scelta. Dobbiamo tenere duro ancora un po'.
La "casa" |
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