“Andree!”
Io quel tono lo conosco. Quando Laura
mi chiama così, con quella “A” un poco acuta e poi “ndre” in
discesa, come un sasso che cade nell'acqua, vuol dire guai in vista.
Questa volta poi c'è anche la “ee” strascicata, quindi sono
cazzi. Eppure non ho fatto niente di male. Sono solo le otto del
mattino, non ne avrei avuto il tempo.
Ci siamo appena svegliati accanto ai
bagni pubblici, a Lake Hawea. Ieri abbiamo trovato questo posto
bellissimo, sul lago. Era il tramonto e il riflesso rosa delle
montagne ci ha irretiti. Ci siamo fermati, abbiamo parcheggiato e ci
siamo addormentati sereni, già assaporando il prossimo risveglio nel
bel mezzo di una cartolina.
Vedo Laura armeggiare intorno al
tergicristallo, poi viene verso di me che sono appena uscito dalla
porta posteriore (dalla camera da letto).
“Che c'è?” dico.
“Ci hanno dato la multa...”
“No!”
La vedo dispiegare un foglietto bianco.
Una piega, due, tre, quattro.
“No” dico di nuovo, come se mi
avessero appena scippato la pensione fuori dalle poste.
Laura legge, i suoi occhi si muovono
rapidi a destra e a sinistra come la testina di una stampante.
“Sai di quant'è?” mi chiede.
“No...”
“Duecento dollari”
“No!”
Duecento dollari, duecento.
Non dodici, come quelli che avremmo
speso se ci fossimo fermati al campeggio pubblico cento chilometri
più indietro. Non trenta, come il fish and chips a cui ieri
sera, per risparmiare, abbiamo rinunciato. Nemmeno sessanta, come la
cena al ristorante indiano che continuiamo a rimandare, perché costa
troppo. Non cento, come le scarpe che ho appena comprato (troppo
piccole, ma erano le ultime in offerta). Neanche centocinquanta, come
la bicicletta che mi sono concesso dopo settimane di trattative col
ciclista Nigel.
Duecento. Duecento dollari.
Il lago non lo guardiamo neanche, vada
a farsi fottere. Ma come è possibile? Eppure ieri sera ho
controllato ovunque che non ci fossero divieti e anche ora, con la
luce del giorno, non se ne vedono. Eppure di solito ci sono, magari
non evidenti, ma ci sono.
Scopriremo nel pomeriggio che, cartelli
o non cartelli, nella regione dei laghi di Queenstown, il campeggio è
vietato al di fuori delle apposite aree a pagamento. No way!
ci spiegano.
Molto bene. La legge non ammette
ignoranza. Quante volte l'abbiamo detto agli ignoranti? E da queste
parti chi sbaglia paga, non è che gli puoi dire “Non lo sapevo”,
o peggio “Ma guarda che la macchina era solo parcheggiata, io ero
in albergo che dormivo. C'erano le tendine tirate per tenere fresco
il succo di frutta.” No way!
Ci rimettiamo in
strada pieni d'amarezza. Pensiamo alle nostre spese al supermercato,
quando stiamo a guardare il centesimo e rinunciamo a un sacco di
cose, perché “Questi soldi ci serviranno quando saremo in Cina.”
Che stupidi! Che rabbia! Quasi non guardiamo fuori dai finestrini, e
di tanto in tanto a me scappa un gesto di stizza improvviso, come un
pugno sul volante dopo un'ora di silenzioso guidare.
Ci fermiamo a
Wanaka, una piccola città affacciata sull'omonimo lago. Ci sono
molti bar e ristoranti in cui potremmo chiedere lavoro e il panorama
è dei migliori incontrati fin ora. Dopo aver fatto un bagno
nell'acqua gelata del lago compiliamo la nostra tabella e i voti sono
altissimi. Forse ci siamo, forse abbiamo trovato la nostra nuova
casa.
Ma prima di
fermarci abbiamo un obiettivo da raggiungere: Bluff, all'estremo sud
della Nuova Zelanda. E in mezzo ci sono Queenstown e Invercargill,
altre due città da prendere in considerazione. Così ci rimettiamo
in macchina: Queenstown è a soli 70 Km da qui, e saremo là in poco
più di un'ora.
La strada sale e
Kiwi fa fatica. È normale, il contachilometri segna 375.750 Km in
questo momento. Scalo in terza, anche se non ci sono curve accentuate
e la pendenza non sembrerebbe richiederlo. Ma il motore scende di
giri e devo spesso mettere la seconda.
Sulla
sinistra si apre uno spiazzo, un cartello indica un punto panoramico.
Ci sono macchine e camper parcheggiati. Ci fermiamo a fare delle foto
e a controllare l'olio e il liquido di raffreddamento.
Sotto
al cofano si nasconde la seconda brutta notizia della giornata. Il
radiatore spruzza il liquido verde in due direzioni diverse, e questo
vuol dire che ci sono due buchi. Nella vaschetta il liquido rimasto
bolle rumorosamente e altro liquido esce dal tubicino di scolo,
formando un copioso rivolo sul terreno di ghiaia e terra battuta.
Tutti nello spiazzo sono girati verso l'immensa valle, guardano il
lago distendersi davanti ai loro occhi. Noi restiamo girati
dall'altra parte, investiti dal calore del motore, e guardiamo
disperati gli spruzzi che non sappiamo come fermare.
“E adesso?”
E adesso siamo
fregati. Il giro finisce qui, niente Bluff, niente grido liberatorio
per l'obiettivo raggiunto, niente più ricerca della città ideale. È
già tanto se riusciamo a trascinarci fino a Queenstown e fermarci
lì, che ci piaccia o meno, e trovare un lavoro per riparare a questo
pasticcio. O meglio ancora guidare il maledetto lamierone oltre il
cancello del primo rottamaio e finirla qui, e con i prossimi soldi
guadagnati comprare un biglietto aereo per la Cina.
Prendo la tanica da
dieci litri che usiamo per cucinare e butto un po' d'acqua sul
motore. Quand'ero ragazzino avevo un amico saccente, Simone. Aveva un
Garelli e andavamo in giro d'estate (io lo seguivo in bicicletta, a
volte mi facevo trainare attaccandomi al suo braccio) e lui si
portava dietro un paio di bottiglie d'acqua. “Sono per il
motorino,” diceva compito “bisogna sempre tenere d'occhio la
temperatura del motore.” Ogni due chilometri c'era da ripetere
l'operazione: tirava fuori dalla zaino una delle bottiglie, si
chinava sul piccolo motore, lo scrutava con occhio analitico e, se
gli sembrava opportuno, ci buttava dell'acqua sopra. Saliva sempre
del vapore e si sentiva il rumore sfrigolante dell'acqua sul metallo
caldo. Quel gesto mi è sempre rimasto in testa, mi sembrava roba da
intenditori, da meccanici. “Ma c'è da stare attenti alla candela!
Se si bagna siamo fregati” diceva, agitando il dito indice per
sottolineare la gravità dell'argomento.
Mi ricordo di
quest'ultimo monito appena in tempo e allontano il getto dalle
candele. Ma l'acqua si asciuga quasi prima di toccare il motore,
bisognerebbe buttarlo nel lago per raffreddarlo. Dopo una decina di
minuti i due getti sottili dai buchi nel radiatore si affievoliscono,
poi cessano. Aggiungiamo acqua fino al livello massimo e riprendiamo
la strada, molto lentamente, fermandoci a controllare il radiatore e
il livello del liquido ogni quarto d'ora ed alla fine di ogni salita.
Così arriviamo a Queenstown, una città decisamente intasata di
turisti. È domenica e non ci sono meccanici aperti. Ma nella
tragicità della situazione, non so perché, questa mi sembra una
buona notizia. E sento ancora le vocine nella testa. Una è quella
dei genitori e degli amici più saggi: “Fermati” dice “non
tirare troppo la corda o ti metti nei guai.” L'altra dice: “Ma
sì, vai più piano, metti l'acqua ogni tanto e vedrai che funziona.”
Decidiamo di
ripartire la sera stessa. Bluff è l'obiettivo e noi ci vogliamo
arrivare. Viaggeremo sempre dal tramonto in poi, o nei giorni di
pioggia, e terremo il motore basso di giri.
Arriviamo
all'obiettivo il pomeriggio seguente, dopo una giornata passata a
guidare sotto la pioggia battente, al ritmo sgraziato dei
tergicristalli. Il sole ritorna giusto in tempo per farci godere lo
spettacolo, come se si alzasse il sipario grigio delle nuvole:
“Signore e signori, ecco a voi il Mare!” Niente preannuncia
l'avvicinarsi del nostro traguardo, non succede nulla di particolare,
semplicemente la strada finisce, perché non c'era altra terra da
asfaltare. Ce l'abbiamo fatta! Con due buchi nel radiatore e un
porta-bici appeso con una vecchia camera d'aria. Il contachilometri
di Kiwi segna 376.028 Km e in questo momento mi sembra un mezzo
indistruttibile. La guardo parcheggiata davanti al mare, a soli
quattromila chilometri dal Polo Sud, in questa mitica città di soli
duemila abitanti. Anche qui come a Cape Reinga (l'estremo nord) il
Mar di Tasman incontra l'Oceano Pacifico, creando inquietanti
turbolenze. Siamo alla fine del mondo, un'altra volta.
Siamo arrivati in
fondo. Bluff è solo un nome sulla mappa, è vero, ma ha un gusto
speciale, di vittoria e soddisfazione, tagliare i traguardi che
abbiamo nella testa. Ora dobbiamo scegliere, tirare le somme in fondo
alle righe della nostra tabella. Wanaka vince su tutte le altre
città, col suo lago e la sua quiete, e sarà la nostra nuova casa.
Dobbiamo tornare indietro, ma non senza prima tagliare un altro
traguardo: Mildford Sound, nella terra dei fiordi, a trecento
chilometri da qui. Poi ci aspettano altri 350 Km per tornare a
Wanaka. Kiwi permettendo.
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