Dovendo parlare di Bangkok, potrei
raccontarvi delle nostre avventure in tuk tuk, i moto-taxi a
tre ruote tipici di queste parti. Allora dovrei dirvi di come sia
difficile ingaggiarne uno per un prezzo onesto senza per questo
doversi sorbire “visite gratuite” a negozianti loro amici, che
pagano loro la benzina in cambio di nuovi avventori. Ci abbiamo
provato:
- Noi dobbiamo andare al tempio del
Budda sdraiato, quant'è?
- 30 bath.
- Un prezzo fantastico, dov'è la
fregatura?
- Che vi porto anche qui, lì e là.
- Ma noi vogliamo andare al tempio e
basta...
- Allora andate a piedi.
Potrei anche dirvi delle nostre lunghe
camminate (per il motivo di cui sopra), dei nostri su e giù per il
fiume Chao Phraya a bordo del ben più economico ed affollatissimo
traghetto di linea, o della movida notturna del quartiere Banglamphu
fatta di offerte a raffica di cibo, massaggi e spettacoli a luci
rosse.
Potrei anche dilungarmi sul “business
del buddismo”, col suo merchandising, i riti “su offerta” e le
visite guidate ai templi.
Ma la verità è che l'evento più
interessante del nostro breve soggiorno a Bangkok è stato andare a
vedere gli incontri di thai-boxe al Rajadamner Stadium. Nove
incontri, due dei quali terminati con lo sconfitto portato fuori in
barella privo di sensi.
Il luogo è esattamente quello che un
qualsiasi regista di Hollywood sceglierebbe per girare una scena di
incontri clandestini. Il ring è l'unica parte illuminata, al centro
di tre anelli di tribune, l'ultimo dei quali è privo di sedili e
protetto da una rete metallica.
All'ingresso ci consegnano una
fotocopia in bianco e nero del programma, in cui sono riportati i
pesi in libbre dei pugili (da un minimo di 100 a un massimo di 165) e
i nomi delle palestre di appartenenza. Tre telecamere riprendono
l'evento, trasmesso in diretta nazionale.
Appena si fanno avanti i primi due
pugili, quattro musicisti muniti di due tamburi, un campanello e una
sorta di corno, iniziano a suonare una musica ossessiva chiamata
Dontree Muay, che durerà per tutta la durata dell'incontro,
facendosi più intensa durante le fasi più cruente.
I due pugili, dal fisico asciutto e
un'altezza non superiore al metro e settanta, iniziano a girare in
tondo sul ring passando una mano lungo le corde, ognuno per conto
proprio, assorti, come se né l'avversario né il pubblico
esistessero. Poi si fermano ad ogni angolo del ring, facendo una
sorta di inchino. Infine si inginocchiano al centro del quadrato,
flettendo il busto a destra e a sinistra. Si muovono a ritmo della
musica, in quella che è a tutti gli effetti una danza, la Ram Muay,
che racchiude in sé significati magici e scaramantici, oltre che
essere una sorta di stretching. Entrambi indossano il Mongkon, un
amuleto di forma circolare che cinge loro il capo e che i rispettivi
maestri rimuoveranno prima dell'inizio del combattimento, sfiorando
con le labbra il capo dell'allievo nel sussurrare una formula
propiziatoria.
Finalmente ci siamo. La musica smette
d'improvviso e una campana dà il via all'incontro. La musica
riprende e i pugili sembrano di nuovo ballare, questa volta insieme,
con la guardia alta e una delle gambe in avanti, pronta a sferrare il
primo colpo. Il pubblico partecipa urlando, incitando i pugili e
talvolta avvicinandosi all'angolo tra un round e l'altro per dare
consigli.
All'inizio tutto mi sembra
incredibilmente lento e innocuo, anche quando i due iniziano a
colpirsi sul serio e ad azzuffarsi, prendendosi a ginocchiate
attaccati alle corde. Cambio idea durante il sesto incontro, quando
vedo Muenarkhom, 117,4 libbre, sferrare una gomitata rapidissima
sulla testa di Jeff, 115,4 libbre, e quest'ultimo cadere a terra ad
occhi chiusi. L'arbitro gli toglie il paradenti, i barellieri entrano
e lo sollevano senza che lui dia il minimo segno di vita.
L'incontro successivo, il settimo, è
quello più atteso. A combattere sono i pesi massimi della
situazione. Nel secondo anello, dietro di noi, gli scommettitori si
scaldano più di quanto non abbiano fatto fino adesso, urlando a
squarciagola, alzando le mani per comunicare agli allibratori le
proprie intenzioni e facendo passare banconote. Quando l'incontro
entra nel vivo, i sostenitori di ciascun pugile urlano all'unisono ad
ogni colpo sferrato, facendo salire la tensione in tutto lo stadio.
Uno di loro inizia a percuotere con la mano un tabellone
pubblicitario attaccato alla balaustra, producendo un suono che
rimbomba nella penombra degli spalti. La musica è quasi scomparsa
nel frastuono generale.
Purtroppo la magia del momento non dura
a lungo. Verso la metà del primo round Trairat mette a segno un paio
di diretti ben assestati e Suwuthlek inizia a barcollare. Tiene duro
per un lunghissimo minuto, ma non appena i colpi dell'avversario lo
raggiungono di nuovo cade a terra e non riesce più a rialzarsi.
Durante i due incontri successivi la
tensione cala un poco, di pari passo col peso dei pugili. Le
scommesse continuano, ma gli animi sembrano più calmi.
Alla fine del nono incontro lo stadio
si svuota in fretta e la musica tace. Io rimango incantato ancora per
un po' e mi dirigo a passo lento verso l'uscita, ancora sbalordito
dall'esperienza appena vissuta. Fuori ci aspetta una pioggia battente
e una città da attraversare.
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